L'arte non è, diventa
di Antonio Barrese
A giudicare dall’immensa quantità di manufatti artistici dai quali si è circondati, sembra che esistano, sparsi nel
territorio, vastissimi magazzini che conservano, a futuro uso, quantità immense
di manufatti artistici preconfezionati.
Si può immaginare che vi si approvvigioni un
numero sempre maggiore di artisti. Numero recentemente accresciutosi a causa
della crisi economica che ha prodotto un grande numero di disoccupati che
cercano di trasformare in fonte di reddito quella che fino a qualche tempo fa
era solo un’aspirazione.
Sembra che a questi artisti basti recarsi in
questi magazzini – che erogano gratuitamente la merce che contengono – e fare
incetta di quadri, quadretti, sculture, contenuti lacrimevoli o protestatari
(fa lo stesso), imitazioni, affari incomprensibili (tanto meno hanno senso
tanto più possono essere spacciati per cose d’arte).
Alcuni studenti del Politecnico di Design di
Milano, durante gli anni del mio insegnamento, si lamentavano che io non
indicassi loro i titoli dei libri in cui avrebbero potuto trovare i
progetti, quasi che i progetti esistano prima delle
situazioni che li rendono necessari, e prima che qualcuno li abbia
sviluppati.
L'arte invece no. L'arte secondo questi
"artisti", è definibile, codificata, tratta del bello,
deve emozionare – e i più furbi sanno bene, non senza un certo
cinismo, quali corde toccare per sollecitare l'emotività del prossimo –
deve esplicitare chiaramente un contenuto (meglio se forte, secondo la definizione che di questo aggettivo fornisce il
gossip), deve potersi fare senza fatica, potendo prescindere da un
bagaglio di conoscenze immenso, in modo a-metodico, seguendo impulsi ed estri.
Ogni tanto questi artisti si dedicano a ripulire
e a levigare le opere che hanno prelevato nei magazzini, e subito dopo le
espongono, in uno dei tanti spazi che la fine dell’industria ha reso
disponibili. Spazi che Assessori, Comitati e docenti in cerca di
prestigio, hanno trasformato in Gallerie comunali o in circoli o in luoghi di aperitivi d’arte (così risolvendo anche il problema della
frustrazione di massa).
Questi luoghi diventano le Sale Fitness in cui
dentisti, professionisti, velleitari, aspiranti, sedicenti e via enumerando,
compiono i necessari esercizi spirituali che li qualifichino e li abilitino a
far parte di quella che considerano un'élite di privilegiati che discettano di
Arte, che si vantano di essere stati presenti a un vernissage.
Non saprei definire cosa sia tutto ciò, ma credo
che poco o nulla abbia a che fare davvero con l'Arte.
Forse è solo un riempitivo di uno spazio di vita
che la fine del lavoro ha svuotato, un tentativo di occupare il tempo in un modo che si
presume smagliante e prestigioso.
Non saprei, davvero.
So però da dove venga il desiderio di essere artista, ma preferisco non dirlo perché alcune verità non devono essere
svelate.
Il problema è che l’arte, prima di essere fatta e
dichiarata tale, non esiste.
L’arte è il frutto di una ricerca scientifica,
tecnologica, culturale che alcune persone decidono diventi arte, che sia
riconosciuta come tale.
L’arte non assomiglia a nulla di ciò che ci
circonda.
È un manufatto di tale complessità strutturale,
linguistica, innovativa ed espressiva che, una volta resa pubblica, non può che
imporsi.
L’arte non ha nulla a che fare con tutto ciò che
può essere definito, perché l’arte (il prodotto artistico, l’opera)
inaugura nuovi linguaggi e formula un nuovo sistema di valori.
L’arte non esiste prima dell’artista, così come
l’artista non esiste prima dell’opera.
I magazzini presso cui si rifornisco gli artisti, quindi, sono depositi del kitsch entro cui il Sistema della Merce ci
ha condannato (ricordo che Merce e Merda hanno un etimo comune, e non è un
caso).
L’arte si impone.
Marcel Duchamp, nel secolo scorso, lo ha
stigmatizzato trasformando un orinatoio in un’opera d’arte, semplicemente
decidendo che lo fosse, ed esponendola in un luogo preposto (galleria d’arte o
museo, non ricordo).
Pensiamo anche, per cose più recenti,
all’imposizione mass-mediatica del Design di Alchimia. Oppure, al giorno
d’oggi, a un fenomeno mediatico come Karim Rashid… queste cose lasciano
traccia, lentamente diventano, alla fine esse sono l’arte del periodo. Tutte
cose di cui si potrebbe dire "Chi l'avrebbe detto!", rese autorevoli
e paradigmatiche del Linguaggio del Tempo (cioè dell'Arte) dall'insistenza
mediatica e dall'energia propositiva dei Gruppi e delle Correnti.
Non è necessario indignarsi: l’indignazione è il
destino di chi, in fondo, rinuncia.
Non serve neppure lamentarsi dicendo "una
volta queste cose non accadevano".
Sono sempre accadute e gli artisti sono sempre
diventati tali perché qualcuno o qualcosa li ha imposti e ha deciso che loro
e le loro opere fossero Arte.
I Sistemi di Valori, e tra essi l’Arte, sono uno
degli aspetti del Potere.
Il Principio di Peter non vale per l'Arte
Il Principio di Peter non vale per l'Arte
Il
"Principio di Peter" (Il principio di Peter, Peter Laurence J – Hull Raymond, Bompiani, 1970) è
un libro che tratta del Principio di
incompetenza.
– In
ogni gerarchia, un dipendente tende a salire fino al proprio livello di
incompetenza.
– Con il tempo ogni posizione lavorativa tende ad essere occupata da
un impiegato incompetente per i compiti che deve svolgere.
– Tutto il lavoro viene svolto da quegli impiegati che non hanno
ancora raggiunto il proprio livello di incompetenza.
Il principio è un caso
speciale della generalizzazione:
Ogni cosa che funziona per un particolare compito verrà utilizzata
per compiti sempre più difficili, fino a che si romperà.
Sono cose drammaticamente
vere: chiunque abbia lavorato nelle aziende ha potuto sperimentarlo.
È una circostanza che si
vorrebbe superare, ma credo che al momento sia impossibile, se non altro perché
ricalca la logica della crescita illimitata, del PIL senza limite di sviluppo,
dell’idea di crescita infinita del capitale…
Insomma l’incompetenza è
parte indistinguibile del Mercato, della Merce e del paradigma di sviluppo capitalistico.
Per superare il destino di incompetenza
del nostro sistema, occorrerebbe abbracciare incondizionatamente la
logica della decrescita.
Il Principio di Peter,
però, non vale per l’arte.
Arte significa ricerca,
sperimentazione, esplorazione di territori vergini e ignoti, tentativo di
modellizzare l’ignoto – tramite la Forma – e di offrire i paradigmi per un
mondo che ancora non c’è.
Gli artisti, insomma,
sono Peter, e il loro lavoro si sviluppa in un contesto di incompetenza strutturale.
Gli artisti sono
innovatori permanenti.
Il lavoro artistico,
cioè, identifica il suo divenire nell’ignoto, in ciò che ancora non si conosce
e nei confronti del quale ancora non si sa né come comportarsi, né quali esiti possa avere.
Capita che alcuni ex
artisti preferiscano superare i disagi della ricerca, e allora si dedicano a
perfezionare e a riproporre ossessivamente le loro opere.
Costoro mercificano il loro lavoro, diventando burocrati del mercato dell’arte.
L’arte è la scienza del mondo interno, la scienza è l’arte del mondo esterno
È stato più facile ideare la frase del titolo, questa inversione di soggetto e di oggetto che si riscontra nelle due righe – con le conseguenze che ne derivano – che provare a darne una spiegazione.
La spiegazione sarebbe lunghissima e, temo, noiosissima.
In qualche modo coinvolgerebbe l’intera cultura del XIX e del XX secolo, e forse anche quella precedente.
Me la sbrigo, perlomeno tra me e me, ricordando un piccolo aforisma che avevo scritto qualche tempo fa: “I poeti sintetizzano in poche parole ciò che ai filosofi ingombra numerosi volumi”.
Non che le due righe del titolo ambiscano ad un qualche valore poetico, beninteso.
Mi sembrano però abbastanza efficaci.
In esse l’arte diventa la scienza, e la scienza si identifica con l’arte.
Ciò che cambia sono solo i territori in cui esse operano: il mondo interno ed il mondo esterno.
Ma, ad andare in fondo alla riflessione, il mondo interno è il contenitore delle esperienze, il luogo che illumina l’esterno e la proiezione di quest’ultimo dentro di noi: una caverna platonica entro cui si proiettano ombre e, al contempo, il proiettore che le rimanda verso l’esterno.
Il mondo esterno, la Natura, esiste solo perché lo pensiamo.
E allora non esiste differenza neppure tra questi due mondi a cui l’Arte e la Scienza danno corpo, di cui l’Arte e la Scienza danno forma.
Ecco allora che l’unica cosa che esiste è la Forma…
Progettare di più per produrre di meno (e meglio)
È da anni che lo scrivo, credo dal 1983.
Del resto i problemi ambientali non sono cosa recente.
Nell'anno mille, in Europa, le foreste erano incredibilmente sfruttate e gli alberi tagliati prima che potessero crescere, per farne legna da ardere, abitazioni, navi.
Erano diventati rarissimi alberi di altezza superiore ai 20 metri, necessari a supportare la costruzione di archi e cupole romaniche.
Per questo – alcuni sostengono – si inventò un modo di voltare archi e cupole che non avesse bisogno di supporti e incastellature che partivano da terra.
Nacque così l’architettura gotica.
Che il freon liberato dagli spray salisse in quota a perforare lo strato di ozono, si sa dagli anni sessanta.
Nel 1968 il documento conclusivo del Congresso Mondiale di Sociologia scriveva: “Il capitalismo si è sviluppato distruggendo il pianeta, adesso può continuare a svilupparsi salvandolo”.
Insomma, l’attenzione all’ecologia e all’ambiente non è una novità, anche se adesso se ne prende coscienza. Lo impone la crisi.
Questo è un momento di straordinaria potenza: il mondo attende di essere riprogettato dalle fondamenta.
Naturalmente non è sufficiente il design che per decenni si è occupato di arredamento e di superfetare varianti di varianti di varianti di mobili poltrone sofà posate eccetera.
Occorre un approccio completamente diverso. Occorre che tra design e arte non vi sia separazione, ma che si fondano in un’unità.
Occorre progettare di più e occorre riformulare il senso del progetto attraverso l'arte.
L’arte è necessaria al progetto perché è essa che indica le strade, dà forma alle visioni e rende possibile il determinarsi di paradigmi culturali e comportamentali.
Produrre di meno significa che i prodotti devono avere una vita più lunga (un ciclo di vita non semplicemente dilatato ma radicato nel tempo e nello spazio). Il loro sistema morfologico e prestazionale può essere più ricco, le loro dimensioni linguistiche durature, mitiche, capaci di aprire vasti spazi interpretativi. I prodotti, gli oggetti che ci circondano e che partecipano della nostra quotidianità, devono essere fatti nel modo migliore, nel modo più giusto. Devono confrontarsi con l'Arte, intesa come esempio più alto e sintetico della qualità del lavoro e della forma.
L’arte è la scienza del mondo interno, la scienza è l’arte del mondo esterno
È stato più facile ideare la frase del titolo, questa inversione di soggetto e di oggetto che si riscontra nelle due righe – con le conseguenze che ne derivano – che provare a darne una spiegazione.
La spiegazione sarebbe lunghissima e, temo, noiosissima.
In qualche modo coinvolgerebbe l’intera cultura del XIX e del XX secolo, e forse anche quella precedente.
Me la sbrigo, perlomeno tra me e me, ricordando un piccolo aforisma che avevo scritto qualche tempo fa: “I poeti sintetizzano in poche parole ciò che ai filosofi ingombra numerosi volumi”.
Non che le due righe del titolo ambiscano ad un qualche valore poetico, beninteso.
Mi sembrano però abbastanza efficaci.
In esse l’arte diventa la scienza, e la scienza si identifica con l’arte.
Ciò che cambia sono solo i territori in cui esse operano: il mondo interno ed il mondo esterno.
Ma, ad andare in fondo alla riflessione, il mondo interno è il contenitore delle esperienze, il luogo che illumina l’esterno e la proiezione di quest’ultimo dentro di noi: una caverna platonica entro cui si proiettano ombre e, al contempo, il proiettore che le rimanda verso l’esterno.
Il mondo esterno, la Natura, esiste solo perché lo pensiamo.
E allora non esiste differenza neppure tra questi due mondi a cui l’Arte e la Scienza danno corpo, di cui l’Arte e la Scienza danno forma.
Ecco allora che l’unica cosa che esiste è la Forma…
Progettare di più per produrre di meno (e meglio)
È da anni che lo scrivo, credo dal 1983.
Del resto i problemi ambientali non sono cosa recente.
Nell'anno mille, in Europa, le foreste erano incredibilmente sfruttate e gli alberi tagliati prima che potessero crescere, per farne legna da ardere, abitazioni, navi.
Erano diventati rarissimi alberi di altezza superiore ai 20 metri, necessari a supportare la costruzione di archi e cupole romaniche.
Per questo – alcuni sostengono – si inventò un modo di voltare archi e cupole che non avesse bisogno di supporti e incastellature che partivano da terra.
Nacque così l’architettura gotica.
Che il freon liberato dagli spray salisse in quota a perforare lo strato di ozono, si sa dagli anni sessanta.
Nel 1968 il documento conclusivo del Congresso Mondiale di Sociologia scriveva: “Il capitalismo si è sviluppato distruggendo il pianeta, adesso può continuare a svilupparsi salvandolo”.
Insomma, l’attenzione all’ecologia e all’ambiente non è una novità, anche se adesso se ne prende coscienza. Lo impone la crisi.
Questo è un momento di straordinaria potenza: il mondo attende di essere riprogettato dalle fondamenta.
Naturalmente non è sufficiente il design che per decenni si è occupato di arredamento e di superfetare varianti di varianti di varianti di mobili poltrone sofà posate eccetera.
Occorre un approccio completamente diverso. Occorre che tra design e arte non vi sia separazione, ma che si fondano in un’unità.
Occorre progettare di più e occorre riformulare il senso del progetto attraverso l'arte.
L’arte è necessaria al progetto perché è essa che indica le strade, dà forma alle visioni e rende possibile il determinarsi di paradigmi culturali e comportamentali.
Produrre di meno significa che i prodotti devono avere una vita più lunga (un ciclo di vita non semplicemente dilatato ma radicato nel tempo e nello spazio). Il loro sistema morfologico e prestazionale può essere più ricco, le loro dimensioni linguistiche durature, mitiche, capaci di aprire vasti spazi interpretativi. I prodotti, gli oggetti che ci circondano e che partecipano della nostra quotidianità, devono essere fatti nel modo migliore, nel modo più giusto. Devono confrontarsi con l'Arte, intesa come esempio più alto e sintetico della qualità del lavoro e della forma.